La Cina a un bivio valutario – un importante stratega chiede un yuan più forte

Uno degli economisti più influenti della Cina invita i decisori politici a riconsiderare la propria posizione valutaria, sostenendo che per Pechino si è aperta un’occasione rara per permettere allo yuan di apprezzarsi.
Punti chiave
- Un principale stratega della più importante banca d’investimento cinese sostiene che uno yuan più forte potrebbe ora avvantaggiare l’economia, invece di danneggiarla.
- La valuta è storicamente debole in termini reali nonostante i modesti guadagni contro il dollaro, aggravando gli squilibri commerciali.
- Gli analisti affermano che l’apprezzamento potrebbe indirizzare la Cina verso una crescita trainata dai consumi, ma solo se accompagnato da riforme economiche più ampie.
Miao Yanliang, stratega di spicco presso China International Capital Corp, noto per i suoi lavori sulla politica valutaria, afferma che la Cina potrebbe rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie e allentare le tensioni geopolitiche se permettesse un apprezzamento più deciso dello yuan.
Secondo la sua analisi, il momento è particolarmente favorevole: il dollaro USA sembra entrare in un ciclo pluriennale di indebolimento, mentre la manifattura cinese continua a scalare la competitività globale. Questa combinazione, sostiene, apre una finestra per allentare il controllo sul tasso di cambio senza compromettere crescita o attività di esportazione.
Un crescente divario tra commercio e valuta
Nonostante i titoli che celebrano la performance dello yuan contro il dollaro, la sua posizione rispetto a un paniere più ampio di valute si è erosa silenziosamente. Rettificato per l’inflazione, lo yuan si trova ora al suo valore reale più basso da oltre dieci anni. Ciò ha amplificato l’enorme surplus commerciale della Cina, che quest’anno si avvicina a miliardi di dollari, alimentando le preoccupazioni all’estero riguardo a una dominanza incontrollata dell’export.
L’argomentazione dello stratega si basa su un principio semplice: uno yuan più caro rende i beni esteri più economici per i consumatori cinesi. Questo rafforza il potere d’acquisto interno e incoraggia un’economia più orientata alla domanda interna piuttosto che alle esportazioni e agli investimenti. Egli osserva che diverse economie asiatiche hanno attraversato transizioni simili dopo l’apprezzamento della loro valuta.
Lezioni dall’Asia e dalla stessa Cina
Giappone, Corea del Sud e Taiwan hanno visto crescere i propri settori dei servizi e accelerare la domanda interna dopo importanti riforme valutarie. La Cina ha vissuto la propria versione di questa transizione dopo aver abbandonato l’ancoraggio al dollaro nel 2005. Nel decennio successivo di apprezzamento, l’avanzo delle partite correnti è crollato e i consumi interni hanno recuperato terreno.
Ma lo stratega avverte che un apprezzamento troppo rapido, senza adeguate politiche macroeconomiche può causare danni significativi. Cita l’esperienza del Giappone dopo gli accordi del Plaza, dove l’impennata dello yen, combinata con condizioni monetarie troppo espansive, ha alimentato bolle speculative poi scoppiate fragorosamente. Per questo, suggerisce un aggiustamento lento e graduale, supportato da mirate riforme fiscali e strutturali.
Il dollaro resta la chiave decisiva
Analizzando decenni di storia valutaria, lo stratega individua un modello ricorrente: le riforme del tasso di cambio hanno successo solo quando il dollaro si indebolisce. Se la Federal Reserve si muoverà verso tagli dei tassi, l’ambiente globale potrebbe inclinarsi ulteriormente a favore della Cina, offrendo un percorso più fluido verso un yuan più forte.
Lo stratega conclude con un avvertimento più ampio: i movimenti valutari da soli non possono riequilibrare l’economia cinese. L’apprezzamento deve essere accompagnato da riforme più profonde, nel sistema fiscale, nella rete di sicurezza sociale e negli incentivi alla domanda interna altrimenti la transizione rischia di fermarsi prima di produrre cambiamenti concreti. Senza questi aggiustamenti, afferma, la valuta non può sostenere da sola il peso del riequilibrio economico.
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